Intervista all’artista Alessio Palmieri

Alessio Palmieri nasce a Massa e si diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Comincia a partecipare a diversi corsi di pittura prima del diploma ed espone in numerose gallerie e circoli culturali come “La Mandragora” a Massa, dove sono state successivamente realizzate delle mostre personali nel 2002 e nel 2018. L’artista ha collaborato inoltre con le associazioni “Intrecciarte” e “Mangia l’Arte”. Tramite le sue opere, Palmieri offre un’analisi della società che lo circonda, cercando di mostrarne le problematiche e i lati contraddittori e di accompagnare il pubblico ad una riflessione profonda sulle tematiche che sceglie di trattare. Le scene rappresentate rimandano a mondi fantastici, utopici, in cui personaggi privi di volto e soggetti con maschere di animali fanno da protagonisti, lasciando lo spettatore incuriosito dalla “nuova” realtà che sta osservando.


Quali sono le ragioni che l’hanno portata ad iniziare un percorso creativo?

Diciamo che non ci sono delle ragioni vere e proprie. Sono una persona molto sensibile agli eventi, ho sempre avuto uno spirito critico, una grande curiosità e uno spiccato bisogno di comunicare il mio punto di vista sul mondo, l’umanità e i propri mali.

Quando è entrato nel mondo dell’arte?

Nel mondo dell’arte ci sono da quando, ancora bambino, passavo pomeriggi interi a disegnare di tutto, dai supereroi alle auto e alle moto, mia grande passione. Successivamente, gli studi artistici e l’Accademia di Belle Arti mi hanno portato a fare l’artista di mestiere. Ho aperto uno studio a Carrara e poi a Pietrasanta. Sono poi passato dalla scultura all’arredamento artistico, aprendo un atelier a Massa. Dopo l’esperienza di Massa mi sono fermato per qualche anno, ma sempre per questo mio bisogno di comunicazione ho ripreso a lavorare con più enfasi di prima.

Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

I miei progetti possono nascere da una parola, da una situazione, da un’immagine. Poi appena nati li elaboro, li semplifico, li trasformo, spesso ingigantendoli o miniaturizzandoli e infine, li colloco in contesti non idonei e asessuati, cambiando il genere dei soggetti. Dopodiché li traspongo su tela o li modello in scultura.

C’è un’opera del suo lavoro che ritiene esplicativa della sua produzione artistica? Perché?

Un’opera particolarmente esplicativa non c’è. Posso dire però che l’ultimo lavoro che faccio, lo ritengo sempre superiore al precedente.

Quando per lei un’opera è riuscita?

Per me un’opera riesce a raccontare quello che voglio dire quando, guardandola e mettendomi dalla parte dell’osservatore, mi fa nascere il desiderio di possederla.

Quanto la società o l’ambiente che la circonda influenzano il suo lavoro?

Tutta la mia produzione e anche la poetica del mio lavoro sono influenzati dalla società e, ancora di più, dall’ambiente che mi circonda. Tutto nasce da quello che siamo, vediamo e sentiamo.

Qual è il suo rapporto con l’osservatore e in che modo spera recepisca la sua arte?

Non sono certo di sapere quale sia il mio rapporto con l’osservatore. Mi pongo senza curarmi di come appaio. Inoltre, ogni persona guarda un’opera a modo suo ed è un po’ difficile creare un rapporto standard, mentre il modo in cui un osservatore recepisce la mia arte è una questione più complessa. Nelle mie opere ci sono sempre più chiavi di lettura. Mi piace e mi interessa che l’osservatore venga colpito in primis dal colore, dal gioco e dall’aspetto surreale dell’opera. Poi che capisca il secondo significato, ovvero quello sociale, di denuncia.

 Il topo è un animale che ricorre spesso nelle sue opere, ci potrebbe spiegare il suo significato?

Il topo è ricorrente nei miei quadri anche se non come un animale vero e proprio, bensì come una maschera.
L’uso delle maschere animali nel mio lavoro ha più di un significato. Quella del topo la uso per esorcizzare la mia musofobia ma anche perché, nonostante questa paura, adoro i topi.

 Le sue opere sono spesso una critica nei confronti della società. Crede che attraverso l’arte sia possibile cambiare qualcosa? 

Non so se “cambiare” sia la parola giusta, sarebbe più corretto sensibilizzare, riflettere. L’arte è da sempre lo specchio della società contemporanea. Qualsiasi movimento artistico è stato e sarà una denuncia di ciò che siamo e facciamo. L’arte è quindi in continua evoluzione e il messaggio cambia man mano che evolve il modo di vivere delle persone e si susseguono gli eventi. Quindi confermo la mia tesi: l’arte deve generare domande che potrebbero e dovrebbero portare a cambiamenti, ma non posso dire che questa sia una certezza.