Intervista all’artista Rosalba Ruzzier

L’artista triestina Rosalba Ruzzier si forma alla Scuola Internazionale di Grafica di Venezia e presso L’Atelier dei Maestri a Trieste dove si specializza nello studio delle tecniche pittoriche e grafiche. Negli anni ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti e ha partecipato a importanti esposizioni internazionali e nazionali come la 55° Biennale di Venezia e il Salon des Indépendants di Parigi. Attraverso le sue opere astratte, ma fortemente narrative, Ruzzier accompagna e immerge l’osservatore nel suo universo fatto di colori, forme e simboli spesso indecifrabili. Il lavoro dell’artista però non si esaurisce nella realizzazione delle tele. Infatti, si dedica anche ai Libri d’artista, libri in cui le storie sono raccontate con lettere, bigliettini, pennellate e strappi che creano un linguaggio fantastico che si ritrova anche nei dipinti.


Quali sono le ragioni che l’hanno portata ad iniziare un percorso creativo nella pittura?

“L’idea di dedicarmi alla pittura si è formata un po’ alla volta. 
Nel corso degli anni sono emersi nella mia memoria degli elementi e degli episodi particolari del passato senza però che fossi in grado di collegarli tra di loro e di comprenderli bene. 
Diversi anni fa ho ritrovato per caso una vecchia scatola rossa con racconti, lettere e foto di famiglia che mi fecero capire che potevo in parte spiegare e analizzare tanti fatti del passato. Ho quindi iniziato a rileggere quei testi con attenzione, realizzando che il mio vissuto è pieno di fatti non chiari e di vuoti che avrei voluto colmare. Il mio legame con i ricordi della scatola rossa rimane ancora oggi parzialmente misterioso, ma ne è uscito un evento inaspettato: la scoperta di uno zio sconosciuto, di una sua foto e di una serie di lettere che hanno fatto emergere delle sensazioni nuove. Mi sono resa conto che volevo farle mie, dar voce ai sentimenti attraverso la mia pittura. Raccontare in modi diversi il suo passato e il mio presente, con elementi frammentari e, magari, ricuciti tra loro. Ed ecco che la memoria silenziosa, mia e di tante altre persone ricordate nella scatola rossa, ha portato in superficie ciò che ancora non conoscevo di me stessa. La pittura ed il Libro d’artista mi hanno permesso di connettere tutti i frammenti per raccontare di “noi” e degli “altri”.

 Quando è entrata nel mondo dell’arte?

“Vari episodi della mia giovinezza mi hanno portato a pensare che avrei potuto dedicarmi all’arte, tanto che ho iniziato a dipingere. Inizialmente, la vita mi ha indirizzato verso un percorso diverso, fino a quando mi sono iscritta alla Scuola di Restauro di Villa Manin di Passariano, per poi proseguire alla Scuola di Grafica di Venezia, dove ho seguito le lezioni di xilografia e grafica moderna. Pur frequentando altre scuole e altri Maestri, la Scuola di Grafica mi ha permesso di sviluppare i miei interessi e mi ha fatto amare il Libro d’artista, una delle mie attività preferite”.

Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

“Il progetto nasce in itinere, dal mio vissuto, dai viaggi, dalle storie che mi raccontano amici o sconosciuti in treno sulla linea Trieste-Venezia; ma nasce anche dalla mia famiglia e soprattutto da tutto ciò che mi emoziona e mi attira. Nella mia famiglia però, non ci sono mai stati racconti del passato, ed io mi sono sempre sentita un po’ “senza  passato”. Per questo sono sempre stata attratta dalle esperienze degli altri che annoto e disegno in piccoli block notes dove riporto le sensazioni provate. Fanno parte delle “mie e altrui memorie”. Nel libro Tracce ferroviaggianti, per esempio, ho riportato ciò che accade in treno”.

 C’è un’opera del suo lavoro che ritiene esplicativa della sua produzione artistica? Perché?

“L’opera a cui mi sento più legata è il libro Esseri erranti, dedicato al cimitero ebraico di Praga. Ho la passione per i libri e, oltre alla pittura, mi interessa la produzione dei libri d’artista. Con il libro posso avere un rapporto intenso, fisico: la materia, la struttura e i suoi contenuti possono trasformarsi in diari pittorici. Lettere, numeri, simboli costituiscono un codice che riporto sulla superficie creando un linguaggio che porta al mio universo. Riflessioni intime e giocose si incrociano con ricordi di episodi sereni e dolori purtroppo attuali. I miei libri si devono guardare, sfogliare, toccare, scomporre e ricomporre. Tutto viene utilizzato per creare la “storia” che voglio raccontare: biglietti, piccoli gesti, strappi, incontri, sguardi, messaggi, racconti, poesie. In questo modo riesco a mettere insieme ciò che lega pittura e scrittura”.

Quando per lei un’opera è riuscita?

“Un artista non sarà mai soddisfatto del suo lavoro, vorrà sempre perfezionare la sua opera. Inoltre, non penso che spetti a me valutare il mio operato. Per quanto mi riguarda l’opera è sempre in essere e potrebbe raccontare storie nuove. Quindi per me un’opera non è mai terminata, infatti se dovessi riguardare i lavori del mio passato li modificherei, perché nel frattempo ho vissuto nuove esperienze, ho cambiato visione della vita e sono maturata dal punto di vista artistico. Tutto ciò che produco è, a mio parere, meraviglioso, poiché è parte di me ed è la mia essenza. Nel mio lavoro trasporto la parte più intima del mio vissuto e mi espongo”.

Quanto la società o l’ambiente che la circonda influenzano il suo lavoro?

“La risposta è ovvia, vivo in questa società, guardo il passato di cui, cosciente o no, faccio parte; guardo il presente e mi illudo di immaginare come sarà il futuro. Vivo il mio presente facendo sempre affiorare il passato di tutte le persone che hanno avuto contatti con me, cercando di trasformare la realtà di ognuno di noi in un mondo di simboli che convivono quotidianamente con noi, dando voce anche a loro”.

Si identifica nella definizione di arte astratta che spesso viene attribuita alle sue opere?

“Si mi ci identifico perché l’astrattismo rappresenta la svolta culturale nel campo dell’arte visiva. Mi permette di essere costantemente un’artista che sperimenta e va alla ricerca di idee e materiali nuovi. Posso allora far diventare ogni lavoro un contenitore da cui far emergere singoli particolari, che diventeranno la parte saliente delle storie che desidero raccontare”.

La sua arte esprime le sue emozioni, i sentimenti e il suo vissuto; per questo le chiedo: sono opere realizzate in maniera spontanea o ha un progetto che guida la sua mano?

“Ad ispirarmi sono le emozioni e le sensazioni che provo nella mia quotidianità, con un occhio ai miei ricordi e a quelli degli altri. Storie che provengono dalla mia esperienza in Africa o dall’avere accanto una belle soeur che ha abbracciato la religione buddista. Storie affascinanti che mi emozionano sempre di più. Amplifico e do voce alle difficoltà che ognuno di noi incontra nella vita, la convivenza con le incomprensioni di ogni giorno, il dolore, l’amarezza, i rimpianti e tutto ciò che può spezzare i legami”.

 Nell’opera Maschere si trovano segni enigmatici; qual è il significato che attribuisce a quei simboli?

“Ho sempre portato avanti una personale ricerca di elementi, segni e oggetti che nel tempo sono stati depauperati di ogni contenuto poiché troppo familiari e usati in modo improprio. Cerco di trasformarli e di renderli miei in lavori che diventano, allo stesso tempo, astratti e figurativi. Utilizzo simboli grafici e numeri come se fossero oggetti della mia mente, lettere di lingue morte e linee che raccontano eventi che si ripetono all’infinito. Il mio lavoro deve rimanere frammentato affinché possa aiutare a riflettere, pensare e leggere il passato, il presente e il futuro da punti di vista diversi. Utilizzo tutto ciò che ritengo utile: colori violenti, vivaci o chiari, tratti energici, segni delicati, usati per invitare chi guarda a fare una seria riflessione sulle cose della vita e per cercare di capire e di migliorare i rapporti, spesso problematici, fra gli esseri umani”.