L’artista Ester Crocetta, dopo essersi diplomata presso il Liceo Artistico di Penne a Pescara, inizia ad esporre in Abruzzo dal 1996 e proseguirà la sua carriera artistica con esposizioni in Italia e all’estero, tra cui Venezia, Berlino, Pechino e Barcellona. In anni più recenti l’artista collabora nell’ambito del design con imprese del territorio abruzzese, avviando diversi progetti artistici che la portano anche a San Francisco presso il Museo Italo-Americano. Il corpo di opere di Crocetta comprende esperienze con vari medium: pittura, scultura, performance e installazione sono i principali linguaggi che adotta per stimolare lo spettatore, assumendo un atteggiamento empatico nei confronti degli animali, riflettendo anche sulla questione dello spreco alimentare. Il suo progetto “Chicchira Poultry” si pone come obiettivo una riflessione sul nostro approccio all’alimentazione e, in particolare, all’allevamento intensivo di pollame. Con un approccio multi mediatico, dove assumono un ruolo centrale il corpo, il colore, il tema dell’identità e l’elemento iconografico dell’uovo, l’artista propone una riflessione empatica ed ironica su temi spesso considerati di scarsa importanza.


Quali sono le ragioni che l’hanno portata ad iniziare un percorso creativo?

Ho sempre pensato che da grande avrei fatto l’artista, attività in linea con il mio equilibrio interiore fino a rappresentare qualcosa di fondamentale che mi ha aiutato a superare dei momenti difficili. 
Torno spesso con il pensiero alla ragazzina che aveva iniziato a dipingere con i colori ad olio prelevati dal negozio di cartoleria di mia madre. Il negozio non aveva grandi assortimenti ma quei pochi colori forti bastavano. Credo che le mie scelte cromatiche, magari nate proprio in tale circostanza, siano iniziate da lì e si siano evolute strada facendo in maniera inconscia.
Amavo disegnare. Dalla mia famiglia nessun ostacolo, ma nemmeno delle indicazioni. Ero libera e mi sembrò naturale, a quel punto, iscrivermi ad un istituto d’arte. Come tanti, alla fine, mi trovai alla ricerca di uno stipendio e per diversi anni ho lavorato in studi tecnici che progettavano e realizzavano carpenteria metallica. Disegno tecnico manuale, insomma, per poi passare all’uso del computer. Il tempo mi portava con sé, ma mi rendevo conto sempre più che la mia creatività finiva per essere inevitabilmente mortificata. Non fu facile, ma nel 2005 decisi di mollare tutto e ricominciare da quelle che erano le mie vere passioni. Una nuova consapevolezza di vita, accompagnata da un incontenibile bisogno di colore, destinato forse a riequilibrare determinate forme.

Quando è entrata nel mondo dell’arte?

La prima mostra collettiva a Pescara nel 1996, nella quale ricevetti un premio per merito, fu la mia prima presentazione ufficiale. Una sorta di uscita prima di sicurezza, sempre più importante, accompagnata nel 2007 dal sostegno del critico d’arte Leo Strozzieri, entrando a far parte del gruppo di tre artisti contemporanei nella mostra collettiva Essenza Materia. In seguito, con la tela “La mia città troppo civilizzata” arrivò dall’Accademia d’Arte Moderna un riconoscimento nell’ambito del Premio Domus Aurea, e poi ancora, nel 2009 la prima esperienza internazionale con l’esposizione di alcune opere a Berlino, fino ad arrivare alla personale a Pechino, e via dicendo. 

Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

Il progetto ha come titolo CHICCHIRIA Poultry. “Chicchiria”, come contenitore di linguaggi alternativi tipici del teatro, mentre “Poultry” appare come un riassunto dedicato all’arte visiva, che conta opere tra pittura, scultura e installazione. Il tutto orientato verso riflessioni sul concetto di cibo animale e che fa comunque riferimento a razze domestiche di gallinacei allevati. Sono partita dalle sensazioni che ho provato nel visitare il pollaio di un conoscente. Fui colpita dal rumore, da quel colore impazzito, dalle piume bianche e dalle creste rosse in movimento. Mi accorgo, al tempo stesso, di quanto il nostro punto di vista sia comunque lontano dalle considerazioni del mio accompagnatore che in quello scenario vedeva solo la concreta possibilità di consumo di quel cibo. Un uso alimentare che però io non vedevo né prendevo in considerazione ed è stato questo lo spunto di riflessione per cominciare a considerare il tema. L’arte può essere un mezzo per considerazioni profonde su concetti come la simbiosi ambientale, il rispetto della natura, l’atteggiamento umano verso gli animali.  
Purtroppo il nostro è un pianeta allevato con dati davvero preoccupanti sotto diversi aspetti. Sono tornata nel pollaio con la tela fra le mani e, dopo lo spavento iniziale, ho visto che le galline pian piano si calmavano poiché ero riuscita a stabilire con loro una relazione che mi ha guidata verso la riflessione e l’elaborazione di un percorso concettuale. Un discorso universale, che parla di transizione ecologica, argomento incredibilmente vasto ma che ci rende consapevoli della necessità di rivedere i reali bisogni e cambiare abitudini alimentari e sociali nel rispetto delle nostre e di tutte le altre forme di vita che fanno parte dell’ecosistema. Se mangiare rappresenta un’azione quotidiana considerata il più delle volte scontata, in realtà non lo è. Il cibo è un percorso di analisi sociale, che risponde a comportamenti e riflessioni utili anche per l’arte
Intanto, dal punto di vista emozionale, il cambiare identità, sentirsi l’animale gallina oppure gallo, diventa un confronto ironico e forte nella mente umana. Tanto basta per portarmi sul prato di una collina di Loreto Aprutino indossando una maschera, simbolo per eccellenza del mondo del teatro, con il becco di un’oca realizzata in resina epossidica. Una sensazione di confine, un limite in bilico tra il possesso fisico di ali e incapacità di volare. Con l’uovo simbolo per eccellenza del progetto.


 Quanto la società o l’ambiente che la circonda influenzano il suo lavoro?

Vivo in Abruzzo, una regione con la presenza sia del mare che della montagna e tanto verde. Questo territorio ha per me qualcosa di spettacolare e sono consapevole di quanto questo mi condizioni nella simbiosi ambientale che ricerco nell’arte. E’ importante riconoscere che il ruolo del territorio decentralizzato dove vivo, costituito da una cultura tradizionale, con questa conformazione morfologica che condiziona da secoli l’identità della popolazione, riprende i miei aspetti caratteriali ed il mio modo di interfacciarmi con l’arte. Non è un vanto e neppure un biasimo, semplicemente è una constatazione di appartenenza e di formazione antropologica.

Quale suo lavoro o quale aspetto di una sua opera pone meglio in evidenza la sua personalità artistica?

In parecchi hanno notato la presenza di corpi mai ben definiti, quasi asessuati e dai grandi polpacci. Forse sotto questo aspetto vedo nell’uomo una grande forza, fatta di movimento e allenamento alla vita, un racconto ciclico e bizzarro che si anima come dentro ad un fumetto.

Quali emozioni o riflessioni si propone di trasmettere attraverso le sue opere?

Ogni uomo è l’epilogo di una serie di contaminazioni, familiari, sociali, religiose e culturali che lo rendono unico. L’artista lavora attraverso “l’oggetto artistico”, pittura, scultura o similare, per ripercorrere questo bagaglio emozionale, analizzandolo e valorizzandolo. Quella “cosa” si esprimerà attraverso il suo linguaggio artistico. 
Farsi capire, rendere amabile e singolare quel linguaggio sarà la cosa più difficile ma necessaria per l’artista. Solo allora, riuscendo a farsi capire, arriveranno le emozioni.

Ci sono aspetti della sua ricerca artistica che testimoniano le sue origini e tradizioni culturali?

Il Premio Arte Mondadori nel 2022 ha rappresentato un evento importante per me e sottolineato il senso di appartenenza alle origini e alle tradizioni culturali del mio luogo. “Supinus 1711 – 2020”, è una scultura dedicata al bue di San Zopito. La stessa che è stata selezionata dal suddetto Premio ed esposta per diversi giorni al Palazzo Reale di Milano. L’opera ritrae un mezzo busto di un bue impresso nel bianco candido, su colonna in marmo, con l’idea di mescolare classico e contemporaneo. Un’opera realizzata durante il periodo della pandemia quando, a causa del lockdown, il bue di San Zopito non ha potuto eseguire il suo giro tradizionale, negando alla collettività una fonte di energia rinnovatrice. La tradizione del bue di Loreto Aprutino nasce attorno ad un animale che accompagna, in un lungo corteo, San Zopito, invocato nel tempo dal popolo per allontanare tante disgrazie come terremoti e carestie. La tradizione vuole che San Zopito si percorra ogni anno per le vie del paese con il suo bue, pronto a varie inginocchiature che finiscono per avvolgere la nostra comunità. Lo definirei, aldilà del senso religioso, uno spettacolo quasi circense, espressione di una folla che tiene al suo bue come al più caro animale domestico. Mettere assieme tradizioni, paure sociali, religione e arte contemporanea non è cosa semplice ma un tema affrontato dall’intera storia dell’arte. Dalle nostre parti la lentezza del tempo viene vissuta come qualcosa di ponderato, dove i particolari non possono sfuggire e poi diventano importanti curiosità. Lo stesso vale per le tradizioni e gli usi di appartenenza. 

Quali esperienze l’hanno portata a scegliere il complesso rapporto tra uomo e natura come tematica delle sue opere? Potrebbe introdurci il suo punto di vista e lo scopo della sua indagine artistica?

Provo una forte attrazione per la natura e gli animali, che nasce per diversi motivi: in primo luogo dall’educazione familiare, poi il contesto antropologico in cui vivo ed infine le riflessioni imposte dal lavoro svolto per diversi anni come disegnatore meccanico di impianti per il trattamento di rifiuti. 
Tutto questo oggi mi porta ad un’innata considerazione per l’ambiente. 
Sono molte le opere riferite ad animali e, nel progetto “Chicchiria Poultry”, anche a piante, facendo un evidente riferimento alla Gleditsia Triachantos.  A partire da “Status Natus” in cui, dentro la scultura dell’uovo blu, è incastonato un seme vero, riprende il concetto “La natura delle cose/La semina” proponendo un sacchetto di semi veri attaccato con una pinza con riproduzione di due baccelli in resina bianca dipinti, attaccati con magnete alla struttura nera di fondo. In quest’opera una maschera bianca indossabile, bloccata sempre da magneti, diventa l’immedesimazione e la trasmutazione nel sentirsi albero o animale, artista oppure fruitore dell’opera, incoraggiando a seminare sempre qualcosa per gli altri. Anche in “Cibo Sprecato”, c’è la riproduzione di un baccello, sul quale troneggia un gallo-forchetta conficcato in un groviglio di fili di ferro, simili a spaghetti. 

 Può introdurci la tecnica stilistica che soggiace alla realizzazione delle sue opere?

Il mio approccio all’arte è stato spesso figurativo. Amo i forti colori a contrasto, soprattutto l’arancione e il blu. I colori sono la mia passione principale, ma amo anche la plasticità della scultura. La consapevolezza non è conoscenza ma esperienza che diventa conoscenza: così succede nel mio percorso che parte inconsapevolmente. Nel progetto “Chicchiria Poultry” il concetto del consumo eccessivo di pollame si  esprime come un fumetto attraverso diversi linguaggi, come la pittura, la scultura e la video-installazione.