Intervista all’artista Andrea Bacalini

L’artista Andrea Bacalini inizia il suo percorso professionale come insegnante di disegno e illustratore per editoria e grafica museale. Nel 2012 inizia il suo interesse per la pittura, che lo porterà negli anni successivi a produrre ed esporre tre serie di dipinti “Gog-Magog”, “Muse” e “Anemoi”, spesso nella sua città natale, Città di Castello. Nella sua arte Bacalini abbandona l’idea di immagine definita: indeterminazione, instabilità, indefinitezza sono alcune caratteristiche che emergono preponderanti dai suoi lavori. Soggetti privilegiati sono figure mitologiche e divinità derivanti dalla tradizione classica, che l’artista rappresenta in una dimensione altra, dagli aspetti illusori, onirici. Bacalini con un attento uso dei colori porta in superficie la personalità dei suoi personaggi, i cui corpi e volti paiono confondersi nello sfondo, creando illusioni pareidoliche che rimandano alle idee di indeterminazione che interessano profondamente l’autore. L’artista propone così le sue opere come mezzo di meditazione sull’esperienza umana, sull’imprevedibilità del mondo e sull’immaginazione come mezzo di ricerca del senso dell’esistenza.


 Quali sono le ragioni che l’hanno portato ad iniziare un percorso creativo?

Da sempre ho avuto una passione per il disegno. La passione per i comics mi ha portato verso le arti grafiche per cui ho poi iniziato una carriera da illustratore, professione che proseguo ora saltuariamente. Nel tempo è l’esigenza di dare forma all’inesprimibile che mi ha spinto alla ricerca della rappresentazione di un mondo interiore comunicato attraverso i miti e la loro simbologia.

Quando è entrato nel mondo dell’arte?

Un approccio artistico più intimo, maturo e personale è arrivato dopo i trent’anni, con lo studio delle tecniche pittoriche tradizionali, e con l’esigenza di trovare un linguaggio visuale che si confacesse alle mie necessità, attraverso un supporto ed un metodo che lo rappresentassero con coerenza e sincerità. 
Da allora, di quando in quando, ho provato la necessità di portare la mia visione anche ad un pubblico più ampio tramite  esposizioni che presentassero le serie ed i temi affrontati, e la partecipazione ad alcuni concorsi a soddisfare la curiosità di confronto con l’ambiente artistico contemporaneo.

Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

Per le mie opere prendo le mosse da riflessioni sulle esperienze di vita. All’introspezione segue il confronto critico e la traduzione in un linguaggio che si rifà ai miti di diverse culture, per cui a volte ho in mente una chiara serie di temi e soggetti da affrontare, altre volte lascio che sia l’istinto a guidarmi nella scelta. 
L’abbandono istintivo, è il momento in cui emergono dal fondo materico e caotico le forme  dell’immaginazione creativa. È un momento di auto rivelazione e di accettazione di una narrazione della realtà per come emerge dall’interiorità. 
L’idea si deve adattare alla casualità del supporto, costringendomi a mediare per un risultato che sia frutto congiunto di volontà e accettazione. Quando sono soddisfatto del materiale, una serie è pronta per essere presentata, ma non è mai chiusa, sono sempre pronto ad aggiungere materiale se nuove immagini fioriscono e penso di avere ancora qualcosa da dire su un dato tema.

Quanto la società o l’ambiente che la circonda influenzano il suo lavoro?

Ciò di cui parlo si rifà ad un vissuto dell’uomo di qualsiasi periodo storico, ma tanto più oggi alcuni dei temi trattati, come l’imprevedibilità dell’esistenza, la perdita, la creatività, parlano della necessità di confrontarsi con la precarietà del mondo moderno, del trovare un senso all’esistenza di fronte all’incertezza e di farlo attraverso una narrazione del sé creativa ed artistica, sia per chi fa arte che per lo spettatore nel suo ruolo attivo di interprete della realtà.

Quale suo lavoro o quale aspetto di una sua opera pone meglio in evidenza la sua personalità artistica?

Opere come “Alektrona” (Elettrione), “Aurora”, o la grande “Mnemosine”, o “Urania- oltre il velo” sono esempi dove meglio ritrovo sia l’ispirazione ai maestri passati che l’approccio personale, il simbolismo nelle atmosfere e l’aspetto filosofico dei soggetti proposti. Le forme incerte, accennate, sono il mio invito a chi guarda a completarle con ciò che trova in sé stesso.

Quali emozioni o riflessioni si propone di trasmettere attraverso le sue opere?

La serie d’appartenenza usualmente è indicativa delle atmosfere e stati d’animo proposti nell’affrontarle. Al centro c’è sempre l’inquietudine davanti ad un mondo instabile tanto quanto l’animo umano, in cui l’unico valore è stabilito dalla creazione di una realtà interiore e presuppone l’accettazione della mutabilità di un’esistenza in cui ogni ente cerca la fedeltà al proprio sé interiore, mentre media con l’ambiente in cui è immerso.

I soggetti da lei raffigurati sembrano inseriti in atmosfere soffuse, dove le categorie di spazio e tempo si annullano. Potrebbe introdurci l’intento dietro l’indefinitezza dei contesti che rappresenta nelle sue opere? Si può parlare di una stasi di una visione epifanica o del dinamismo di una trasformazione?

Avete perfettamente ragione in entrambi i casi. L’esistenza è continua trasformazione, un’incessante tempesta. Ogni definizione sfugge la natura delle cose, poichè essa si produce in un’imponderabile infinità di forme, e ogni tentativo di rappresentare con esattezza la sua molteplicità è in sé uno sforzo fallimentare. Una sorta di heisenberghiana indeterminazione, per cui mutabilità e natura delle cose non si danno contemporaneamente. Tutto quello che dico è falso, l’opera è l’istantanea di un pensiero e una realtà che già non sono più, l’oggetto è mutato durante la loro creazione, ma l’opera è uno spunto, un promemoria di una riflessione il cui valore e importanza sono sempre attuali. Sono strumenti di meditazione e lavoro interiore.

C’è una ragione per cui i soggetti delle sue opere richiamano il linguaggio della fiaba e del mito?

Le necessità dell’uomo nel tempo hanno cambiato nome, ma sono le stesse degli uomini che negli antichi miti hanno lasciato traccia della loro esperienza.
Uso soggetti conosciuti, in questo mi limito a ricordare ai miei contemporanei che, ancora oggi, il progresso interiore, che ci è stato indicato dai pensatori del passato, è il fine stesso, un cammino a cui siamo tutti chiamati.

Quale criterio determina la scelta della componente cromatica nelle sue opere?

Uso solo colori primari, terre e neutri, ogni altro colore ne è una derivazione per sovrapposizione, mescola o giustapposizione. Sebbene ci sia una chiave di lettura a seconda della serie, vorrei lasciare all’osservatore il lavoro di dargli una valenza, posso però dirvi che le evidenti differenze tecniche tra alcune opere descrivono atmosfere di “mondi”, dimensioni dell’anima differenti, registri emotivi e cornici intellettuali, il tono con cui affronto un discorso.