Intervista all’artista Fabio de Visintini

L’arte di Fabio de Visintini emerge dalla sua esperienza più che ventennale nella fotografia. Si tratta di un’arte introspettiva, mezzo adottato dall’autore per mettere alla prova se stesso e la propria creatività. Dopo una lunga carriera che spazia in vari ambiti lavorativi l’artista approda all’arte pittorica dove, dopo un lungo periodo dedicato all’astratto, inizierà a sperimentare la rappresentazione di creature marine. Le variegate specie di pesci che emergono con forza dagli sfondi monocromatici creano una società fittizia e parallela alla nostra, formata da pesci di ogni specie, con diversi pensieri ed emozioni, che intraprendono diversi percorsi di vita. De Visintini invita così lo spettatore ad immergersi in queste visioni marine, a rallentare la sua giornata, a nuotare controcorrente opponendosi alla fretta imposta dalla cultura contemporanea.


Quali sono le ragioni che l’hanno portato ad iniziare un percorso creativo?

Il tema creatività è affascinante e complesso. Un giorno al lavoro il mio direttore mi disse “sei un bravo manager MA sei creativo” e dopo qualche tempo ricevetti da lui, come gli altri colleghi, un libro di Edward De Bono, il guru del Pensiero creativo. Forse il direttore nemmeno si è accorto dell’incongruenza, ma comunque l’avevo già letto. Questo per dire che la creatività viene confusa in molti ambienti con irrazionalità,volubilità, ecc. Per me fa parte del mio equilibrio mentale, qualora esistesse, anche per le cose più banali, compresi i problemi da risolvere. Forse è il bisogno di tenersi lontani dall’omogeneizzazione del pensiero, e dai continui stimoli preconfezionati dal web, sempre più in agguato di questi tempi. Razionale e irrazionale non vivono sempre bene assieme, eppure si può fare, anzi secondo me si dovrebbe.

 Quando è entrato nel mondo dell’arte?

Per molti anni ho fotografato e mi sarebbe piaciuto farlo per mestiere oltre che per arte. Poi, valutate le scarse opportunità della prima opzione, ho preferito dedicarmi al ritratto in B/N, da quale ho avuto soddisfazione artistica. Cominciare a dipingere è stato il desiderio di imparare da zero qualcosa e abbandonare quel che avevo imparato a fare, ma che si stava trasformando con l’avvento del digitale. Non fu semplice, ma decisamente affascinante.

 Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

In buona parte dalla casualità, anche se non è bello da dire, ma la curiosità mi spinge a conoscere ed esplorare quel che non conosco e soprattutto non ho paura di provare a fare quel che non so fare. La mia vita, anche professionale, è stata così: tutti i mestieri diversi che ho fatto sono nati da fatti almeno in parte casuali. Una sorta di Serendipity. Esempio sciocco: poco tempo fa mi chiesero di dipingere due glacette con dei tucani. Mi misi a ridere, non so dipingere tucani… ma nemmeno sapevo dipingere pesci qualche anno fa. E così è successo, i tucani sono riusciti bene e mi sono divertito.

Quanto la società o l’ambiente che la circonda influenzano il suo lavoro?

Non sono giovane e ho vissuto gli anni ’80 e le relative aperture, anche artisticamente. La società, soprattutto oggi, sta perdendo valori e stimoli a fare (domotica, internet, food delivery), quindi chiudermi in studio a dipingere è un modo per astrarmi da quel che non mi piace, pur annusando la modernità. A volte mi accorgo di parlare una lingua che oggi a tanti non interessa, quindi spesso taccio. Per ogni cosa che ho fatto mi sono allenato (studiato) sui fondamentali e non credo che dottor Google o i social siano la soluzione semplice ai problemi attuali e futuri. 

Quale suo lavoro o quale aspetto di una sua opera pone meglio in evidenza la sua personalità artistica?

Dicevo che la mia fotografia era in B/N, anche se innegabilmente il Nero era dominante. I ritratti erano intensi, ma non espressamente radiosi. Oggi mi trovo a dipingere con colori accesi pesci che spesso sorridono e questo stupisce anche me. Forse la risposta è ancora da trovare in mezzo alle inquietudini, alle cose da scoprire, alle persone da conoscere.

Quali emozioni o riflessioni si propone di trasmettere attraverso le sue opere?

Ho sempre pensato che se le mie opere (anche in fotografia) non avessero suscitato una emozione in chi le guardava, avrei smesso, per dedicarmi ad altro. Dipingendo i pesci, il timore era di non esser preso sul serio, di sembrare caricaturale. Invece, per fortuna, chi di arte si occupa ha letto diverse cose, anche profonde, accettandomi con entusiasmo. Ancora mi chiedo se il Covid ha stimolato in tutti noi un desiderio di leggerezza, possibilmente non stupida, preferendo ogni tanto un quadro che ti fa venire un sorriso, piuttosto che una denuncia o una cupezza. Alle mostre che ho fatto ho visto solo occhi che sorridevano e questo, per me e ora, è importante. Viviamo un mondo (occidentale) mai così ricco eppure infelice. Viviamo in superficie, col timore della profondità.

Nelle sue opere appare evidente la centralità della rappresentazione del pesce come di altre creature marine. Può parlarci di questa scelta tematica?

È un po’ figlia della casualità di cui prima. Dipingevo informale e non pensavo di poter arrivare a figurare qualcosa. Po mi sono inventato una crema di cioccolato e ho provato a dipingere delle Cabosse (il frutto del cacao) per il mio logo e mi è piaciuto. Primo step, in fondo non era così difficile. Vivo in una città di mare e il mio fantastico pescivendolo mi esibiva e raccontava la magia dei pesci, ricchi di colori e sfumature cangianti nei loro diversi momenti di vita e… quelli successivi. Un mondo sommerso fantastico da esplorare, di cui troppi sanno troppo poco. Prova e riprova (inventa), sto ancora migliorando tecnica e rappresentazione.

 La scelta di una particolare specie di pesce da inserire nell’opera è influenzata da una simbologia? C’è un processo retrostante a queste scelte rappresentative?

La parte razionale in me indica spesso la direzione da seguire, quindi l’intento è dare spazio a quella irrazionale, quella che potrà anche sbagliare, ma può generare la mia suggestione e quella altrui. Preferisco partire da lì ed eventualmente cercare di capire a posteriori significati più profondi. Poi ci sono altri che li vedono e me li spiegano e ciò mi emoziona. Certo non manca la sfumatura simbolica, tipo pesce ricco/pesce povero, su cui provoco un po’. I pesci stanno nel mare e non valutano il loro benessere attraverso il PIL, mentre per noi è il Mercato a condizionare le scelte. Spigola (Branzino) e Vongole veraci sono i più richiesti al ristorante, quindi costano e sono pesci ricchi, ma sono i più buoni? Ma dai…

 Costante nei suoi lavori è l’uso della superficie monocromatica. Cosa guida la scelta del colore e della sua stesura?

È una scelta che deriva dalla cultura maggiormente grafica, più che pittorica, che qualcuno, forse giustamente, mi attribuisce. E magari anche dalla cultura “markettara”: il quadro deve piacere a me, ma non sono così egocentrico, non è sufficiente, il giudizio di chi guarda è fondamentale per la crescita. Comunque anche qui casualità. Quando il titolare di uno showroom d’arredamento eccellente mi chiese di esporre i pesci, pensai che mi sarei dovuto contestualizzare con i bellissimi tessuti e arredi in esposizione. Quasi una sfida, che poi diventa un’apertura, che magari arricchisce il bagaglio.