Il percorso artistico di Irma Martina Cabano, originaria di Sassari, prende avvio durante i lockdowns causati dall’epidemia di Covid-19. Questo periodo le permette di assumere un atteggiamento introspettivo e di esplorare talenti finora mai messi a frutto, che le permetteranno di guadagnare rapidamente una certa considerazione nel mondo dell’arte, esponendo i suoi lavori in collezioni ed esposizioni sia in Italia che all’estero.

L’opera di Cabano nasce in maniera spontanea, da una riflessione introspettiva che porta l’artista ad esternare, con l’uso di colori brillanti, un mondo emotivo legato ai problemi femminili, in particolare la violenza sulle donne. La straordinaria capacità di Irma Martina Cabano di comunicare intimamente con lo spettatore attraverso le sue opere dipinge il suo lavoro come una sorta di “arte terapeutica”, che coinvolge il fruitore in una profonda autoriflessione, mettendolo a confronto con le proprie difficoltà e i propri traumi. Ponendo la figura femminile e l’elemento naturale al centro della rappresentazione, l’artista identifica nella natura un elemento salvifico, capace di liberare l’individuo dai dolori della vita.


Quali sono le ragioni che l’hanno portata ad iniziare un percorso creativo?

Il mio percorso creativo è tutt’altro che legato alla ragione. E’ iniziato tutto improvvisamente, come l’acqua che nasce da una fonte o trabocca da un vaso pieno. Ho avuto necessità di dipingere e ciò che ho dipinto ha parlato di me stessa. Avevo tanto da dire, segreti che evidentemente non volevo rimanessero tali o che avevo bisogno di condividere, trasformandoli in qualcosa di buono. Per questo motivo i miei primi quadri parlano delle violenze subite, della spersonalizzazione del corpo femminile, dell’uso “malato” della sessualità e, man mano, la mia arte si è evoluta abbracciando le tematiche che mi stanno più a cuore, giungendo al “potere” dell’energia femminile. Credo quindi di avere iniziato a creare le mie opere per “curarmi” e, contemporaneamente, per comunicare con chi fosse interessato ad uscire dai propri drammi attraverso l’arte.

Quando è entrata nel mondo dell’arte?

Oggi che mi viene fatta una domanda diretta mi ritrovo a ripercorrere la mia vita e mi rendo conto che l’arte ne ha sempre fatto parte. Mio papà ha sempre dipinto e diverse famiglie del paese di mia madre ospitano i quadri che lui generosamente regalava. A Buenos Aires, dove ho studiato da bambina, nella scuola italiana di cui papà era preside, venivano praticate materie quali il teatro e la musica ed io ne ero affascinata. Avevo imparato anche a suonare la chitarra ma ho rimosso tutto a causa della violenza. Sono stata modella di Novella Parigini, che ho conosciuto durante un’ intervista a Porto Rotondo e di cui divenni grande amica. Ho posato per il grande fotografo/artista Pino Settanni. Sono stata scelta in piccole parti cinematografiche. L’arte ha sempre fatto parte della mia vita ma solo durante il lockdown ho iniziato a dipingere.

 Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

Io non progetto. Può essere pensato come un difetto ma per quanto riguarda la pittura o la decorazione delle ciotole “sento” di dover dipingere. Quando un tema mi colpisce lo racconto insieme ad una parte di me. Spesso sono i colori a chiamarmi e così, trovo un modo per esprimermi. Questo avviene soprattutto per ciotole e piatti per la necessità di immergermi nel mio mondo, di rilassarmi e di creare.

Quanto la società o l’ambiente che la circonda influenzano il suo lavoro?

Mi sento ispirata dall’ambiente intorno a me: come dicevo, sento di dover parlare attraverso le mie opere di alcuni dei temi per me importanti. Riguardano principi a me cari o eventi che accadono e mi colpiscono. Esprimo liberamente il mio pensiero anche se scomodo, non particolarmente condiviso o apparentemente contraddittorio. Ho iniziato a dipingere per liberarmi e vorrei continuare a sentirmi libera di esprimermi senza condizionamenti.

Quale suo lavoro o quale aspetto di una sua opera pone meglio in evidenza la sua personalità artistica?

Credo l’uso dei colori nella loro purezza. Diventano quasi materici nei miei quadri. La rappresentazione dei fiori e la natura come salvifici e l’originalità dovuta al fatto di essere autodidatta mi hanno permesso di trovare una mia personalità.

Quali emozioni o riflessioni si propone di trasmettere attraverso le sue opere?

Le mie riflessioni. Il mio sentire. Il mio modo di vedere, osservare e interpretare la realtà. Me stessa! 
Portare l’osservatore a riflettere su temi come la violenza di genere, le discriminazioni, la spersonalizzazione degli esseri umani, la guerra, la schiavitù, la libertà, la libertà di scelta, l’assenza di una vera comunicazione… per dirne solo alcuni. Ma anche l’idea stimolante di far intraprendere alle persone un viaggio fantastico attraverso i colori. I miei strani mondi, i simboli, le mie elucubrazioni mentali, per ritrovarci empaticamente connessi.

 Nel corso della sua attività artistica ha da subito pensato di condividere con il pubblico le sue realizzazioni pittoriche? Quale motivo la spinge oggi a renderci partecipi della dimensione estremamente personale che si evince dalle sue opere?

Per lunghissimo tempo non ho pensato di condividere la mia attività artistica. Ho iniziato a dipingere da autodidatta durante il lockdown. Ho sempre svolto attività occupandomi degli altri: giornalista, problem solving, organizzatrice di eventi. Nella solitudine della mia nuova vita non ho potuto scappare più da me stessa e ho sentito con urgenza la necessità di espellere il dolore che avevo e di cui non avevo parlato con nessuno. Ho trovato più naturale ed immediato farlo attraverso la pittura. Non avevo mai preso un pennello in mano ma ero circondata da cartoncini, pennarelli e acrilici perché vivevo in casa di un architetto, ora mio marito.
Avevo dipinto solo quattro quadri in cui era espresso il mio dolore e le esperienze traumatiche. Un’amica che non sentivo da anni mi supplicò invano di vendergli un quadro, mi disse che le parlava e si sentiva legata a lui. Quindi, incuriosita dall’effetto che le mie opere avevano avuto sulle amiche, decisi di pubblicarle su Facebook. Fui subito contattata dalla direttrice di una biennale che si disse colpita dalla espressività e dalle tematiche trattate e mi invitò a partecipare al concorso indetto nel suo comune di residenza. lo feci con due dei miei quattro quadri che furono premiati proprio per ciò che raccontavano. Nel frattempo ho continuato a dipingere per me stessa senza curarmi dei difetti che le mie opere presentavano perché mi faceva stare meglio. Un giorno, la presidentessa di un’importante fondazione per l’arte mi ha offerto la possibilità di sfruttare la sede per la mia prima personale, dedicata proprio alla problematica della violenza sulle donne .
Mi trovavo davanti ad un bivio. Sentivo che l’arte era per me terapeutica e poteva esserlo per altre donne e uomini, ma per poter comunicare questo pensiero sarebbe stato necessario uscire dalla mia dimensione personale e “raccontarmi”. Fare un doloroso outing.
Attraverso l’arte concedo al mondo un pezzetto di me, un pensiero,
la mia anima inquieta, mi metto a nudo ma oggi so di fare la cosa giusta esponendo me stessa insieme alle mie opere. Durante le mie mostre moltissime donne e uomini si sono sentiti coinvolti, ritrovando una parte di sé stessi. Questo mi emoziona, mi stupisce e mi riempie di responsabilità. Ma credo ne valga la pena.

Che significato e valore ha per lei la componente cromatica dei suoi lavori?

Il blu delle onde, il rosa dell’amore, il giallo luminoso della speranza che primeggia. I colori sono per me la vita stessa: commuovono, assolvono,, salvano. Rappresentano, insieme alla natura, l’elemento di speranza, la via di uscita. Da sempre mi affido a loro e, spesso, i miei quadri prendono forma tramite le “macchie colorate” che mi indicano la via da percorrere. Anche nel quadro più inquietante e doloroso il colore rappresenta la tristezza che si dissolve e prende il volo come una piuma, lasciando spazio a nuove sfumature, ad armonie che si rivelano nuove e imprevedibili.

 Da quando si è avvicinata al mondo dell’arte, quanto è cambiato il suo modo di osservare la realtà circostante?

Sono sempre stata sensibile ma ora empatizzo in maniera quasi viscerale con la natura e il mondo circostante. Sento tutto ciò che non è visibile ad occhio nudo. Sono affascinata dai fiori, tutti gli esseri che popolano la terra, il cielo e il mare. Mi interesso di più ai simboli, alle storie emblematiche degli esseri umani, alle leggende, alle mitologie .Mi interessa affrontare tematiche inerenti ai principi fondamentali e agli ideali, ma soprattutto non scappo più da me stessa ed esprimo il mio punto di vista attraverso l’arte.