Fulvio Dot ha recentemente preso parte a Bottega ‘500, una mostra d’arte contemporanea organizzata dallo studio di consulenza Tivarnella Art Consulting, in collaborazione con 1758 Venice Art Studio e Associazione Il Sestante, presso la Blue Gallery di Manhattan, New York. Dopo essersi laureato in architettura presso l’università IUAV di Venezia, Dot ha lavorato in ambito artistico per quasi cinquant’anni. È attualmente rappresentato da gallerie situate in Italia, Spagna, Francia, Canada e Hong Kong. Le sue opere mostrano composizioni minutamente ponderate in cui antichi materiali riciclati costruiscono i volumi che l’artista utilizza per dare movimento a paesaggi urbani trasfigurati da gesti pittorici ispirati all’Espressionismo.
In che modo si è avvicinato al mondo dell’arte?
Fin da giovane i miei studi sono stati ad indirizzo artistico, ma è dalle lontane scuole medie che un semplice ma, per me, importante episodio mi ha appassionato all’arte. Ero sempre stato uno studente “medio”, da sufficiente in tutte le materie. Ero sempre stato uno “medio”: quando si facevano le squadre per il calcio o qualche altro gioco ero sempre tra gli ultimi ad essere scelto. Un giorno l’insegnante di educazione artistica mi propose di partecipare ad un concorso nazionale per studenti delle scuole medie e, vincendo la mia perplessità, mi iscrisse. Vinsi. Avevo trovato qualcosa in cui non ero “medio”. Avevo trovato qualcosa in cui credere, qualcosa che con il tempo è diventata una “dipendenza”.
Gli studi condotti nell’ambito dell’architettura hanno influenzato il suo percorso artistico e il suo stile personale? Se sì, in che modo?
Sono stati molto condizionanti: avevo diciotto anni quando ho fatto la mia prima mostra personale ed ero un pittore completamente informale. Avevo avuto insegnanti, artisti, che praticavano ed insegnavano quel genere pittorico. Alla fine delle superiori (Istituto Statale d’Arte, ora liceo artistico) invece di seguire il loro consiglio e frequentare l’Accademia, mi iscrissi ad architettura, dove il “minimo sindacale” è che ciò che disegni deve stare in piedi. Quando ripresi la pittura avvenne una specie di scontro tra l’informale (che volevo riprendere) e la concretezza dell’architettura (che non sentivo pittoricamente mia). Con il tempo queste due anime si sono fuse diventando ciò che dipingo oggi: un figurativo creato da tante parti informali (definizione datami dal critico Sergio Molesi).
Molte delle sue opere hanno come soggetto delle vedute urbane, come nella serie dedicata ai palazzi veneziani. Che rapporto ha con il paesaggio? In che modo la città di Venezia ha influenzato la sua produzione artistica?
Sono sempre stato affascinato dal paesaggio urbano, in particolare dai segni grafici che lo condizionano e modificano, siano graffiti o insegne o scritte pubblicitarie, al punto che noto prima quelle che l’edificio che le sostiene. Sono attratto dal disordine creato dalla personalizzazione di spazi uguali, nei condomini o dalla disposizione di condizionatori, dal caotico essere delle antenne.
Venezia ha sicuramente condizionato non solo la mia produzione artistica ma la mia vita: ci ho vissuto sei anni, ho amato i suoi chiaroscuri e ho odiato l’acqua alta che mi bloccava. Sono rimasto affascinato dai suoi contrasti: Venezia in fondo è oro e ruggine. Sono questi contrasti che cerco di rappresentare nei miei lavori. Esiste anche un altro motivo condizionante di Venezia : da quando ho cominciato a lavorare con gallerie estere mi sono accorto (se mai ce ne fosse stato bisogno) che dalla Francia alla Cina se disegni una bifora e chiedi cos’è, tutti ti rispondono Venezia.
Quale rapporto intercorre tra l’elemento materico e quello pittorico all’interno della sua produzione artistica? Gli inserti di differenti materiali assumono all’interno delle opere un ruolo o un significato particolare?
Nel mio lavoro la materia assume un ruolo fondamentale per diversi motivi: il primo è che non è mai completamente controllabile e questo, nella creazione dell’opera, mi porta una componente di “casualità ” da risolvere che è estremamente importante. Il secondo motivo è questo mio costante tentativo di uscire dalla bidimensionalità della tela.
Ma per me la materia, seppur importante, non deve mai essere l’opera: ci deve essere una ricerca costante di equilibrio tra colore e materia; oserei dire che uso la materia come un colore.
Quale ruolo svolge il colore nelle sue opere?
Se si parla di pittura è ovvio che il colore sia importante, ma io adoro il disegno e sono convinto di saper disegnare bene (immodestia da perdonare) quindi dò più importanza al segno anche nelle tele.
Può parlarci della sua più recente produzione pittorica e dei suoi prossimi progetti?
Recentemente mi sto dedicando alla riscoperta di una cosa obsoleta e dimenticata come le cartoline. Dopo un ciclo di lavori su Venezia chiamato Cartoline dal futuro, dove immaginavo che dal futuro potessero arrivare nel presente saluti, scritte ed immagini di ciò che sarà dei luoghi e dei palazzi che conosciamo, ora sto lavorando su un nuovo ciclo che chiamo Postcard from Italy, dove i richiami alla vecchia cartolina sono nelle scritte con i classici saluti e la località rappresentata viene estrapolata dal contesto, portata quasi a “galleggiare ” nella composizione. Tutto sormontato da scritte e loghi del digitale odierno.
Quali influenze, o studi artistici, l’hanno guidata nella creazione del suo stile personale? Si sente affine a un movimento artistico particolare?
Non so esattamente come rispondere. Non credo di aver avuto influenze artistiche particolari, ho studiato e provato varie tecniche fino a fonderne qualcuna e creare una tecnica particolare che, spero, sia mia. Allo stesso modo non mi sento legato ad alcun movimento artistico, convinto come sono che l’Arte sia una cosa estremamente personale la cui ricerca parte da dentro se stessi.