Intervista all’artista Elisa Vendramin

Elisa Vendramin ha recentemente partecipato a Bottega ‘500, una mostra d’arte contemporanea organizzata dallo studio di consulenza Tivarnella Art Consulting, in collaborazione con 1758 Venice Art Studio e Associazione Il Sestante, presso la Blue Gallery di Manhattan, New York. Formatasi nel settore culturale e del design, Vendramin ha condotto gli studi presso il Central Saint Martins College of Art and Design e ha collaborato con istituzioni culturali internazionali come il Science Museum of London e Nordic House Reykjavik. La sua ricerca artistica è stata esposta nelle principali capitali europee, tra cui Londra e Parigi, e le sue opere sono oggetto di collaborazioni con colossi internazionali come Fendi, Mondadori, MuseumsQuartier Wien e Apple. Le sue composizioni d’arte digitale sono realizzate in edizioni limitate di stampe d’arte, dove preziose allegorie nascono dall’aggregazione di una moltitudine di microelementi che, contribuendo alla forma, determinano un’identità.


Qual è stata la sua prima esperienza nel mondo dell’arte?

Fin da piccola, ho sempre avuto una profonda passione per l’arte e ho cercato di visitare quante più mostre e musei possibili.

Quali influenze artistiche l’hanno guidata nella creazione di un proprio stile personale?

L’artista che amo di più è sicuramente Joan Miró: trovo il suo pensiero ed il suo approccio all’arte astratta affine al mio. Mi ispiro anche ad artisti contemporanei che lavorano molto con la materialità e la natura come ad esempio Anish Kapoor, Roni Horn, Sheila Hicks e Olafur Eliasson. Prendo anche ispirazione dall’arte folkloristica, soprattutto quando viaggio.

La maggior parte delle sue opere è realizzata tramite il collage digitale. Quando si è avvicinata a questa tecnica e cosa la differenzia dalle altre?

Ho sempre amato il collage come tecnica. Mi sono avvicinata al collage digitale durante il mio Master presso Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, dove ho potuto sperimentare diversi linguaggi e tecniche e dialogare con artisti e illustratori internazionali. Il collage digitale mi permette di lavorare con dettagli infinitamente piccoli e di accostarli con la massima precisione, creando così delle forme astratte e organiche che fluttuano nel “vuoto” della pagina.

Da dove nasce e come prende vita un suo progetto?

Tendenzialmente, trovo ispirazione dai viaggi, dalle persone che incontro in essi e dai loro racconti. Spesso però le idee si formano anche grazie agli esperimenti non riusciti, magari testando tecniche nuove.

La sua esperienza in Islanda ha cambiato la sua pratica artistica? Se sì, in che modo?

L’Islanda mi ha permesso di esplorare a fondo la mia pratica artistica, e nel contempo, anche di capire chi ero in quel momento della mia vita. L’influenza del mondo nordico si evince anche nelle cromie e nella pulizia formale dei miei lavori creati mentre vivevo a Reykjavik.

La raccolta di materiale già esistente (fotografie, disegni, pattern geometrici, mappe, ecc.) è una parte determinante del suo lavoro. Si tratta di un procedimento svolto di volta in volta, in modo mirato per ciascun progetto, o di una pratica regolare che poi le fornisce la materia prima per le sue opere?

Sono una collezionista in generale, mi piace collezionare immagini e stampati, quindi ho sempre un archivio ben fornito.

Che importanza conferisce allo spazio vuoto?

Lo spazio vuoto è per me fondamentale per lo sviluppo del pensiero: io stessa, non riesco a concentrarmi se sono circondata da persone o oggetti, ho bisogno di un certo grado di isolamento. La mia mente è più lucida e creativa in spazi senza tracce umane, come appunto in alcuni paesaggi islandesi o nei deserti. Anche a livello compositivo, cerco sempre di bilanciare i pieni e i vuoti, lasciando che l’illustrazione fluttui.

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