Intervista all’artista Luca Ortolani Klein

Luca Ortolani Klein ha recentemente partecipato a Bottega ‘500, una mostra d’arte contemporanea organizzata dallo studio di consulenza Tivarnella Art Consulting, in collaborazione con 1758 Venice Art Studio e Associazione Il Sestante, presso la Blue Gallery di Manhattan, New York. Fin dall’infanzia con la macchina fotografica in mano, Klein esplora il contemporaneo in continuo divenire. Avanguardia e ricerca lo distinguono sia nella carriera lavorativa sia nell’espressione fotografica: slancio globale di un movimento artistico che emerge da osservazione, analisi e ridefinizione della natura e dell’umano. Una fotografia anticonformista presente in mostre e collezioni internazionali.


Quando è nata e come si è evoluta nel tempo la sua passione per la fotografia?

Inizio a fotografare a 8 anni con una Kodak di plastica a pellicola. Già allora scatto per ribellarmi da un’educazione austro-ungarica, rigida e ordinata.

Da dove parte e come prende vita un suo progetto?

Il mio progetto nasce dalla necessità di dare spessore artistico e unicità alla fotografia, in un’epoca in cui la tecnologia permette a chiunque di creare un’immagine perfetta.

In che modo la fotografia diviene per lei una fuga dalla realtà?

Vivo da sempre in modo schizofrenico, tra importanti ruoli manageriali per imprese multinazionali e progetti artistici orientati a esprimere il mio senso estetico ed il mio bisogno di fuga da un conformismo ed un dogmatismo ormai dilaganti. Oggi molte dimensioni umane (il lavoro in primis) sono caratterizzate da ripetitività/applicazione e ripetizione di schemi (processi e procedure). Con quest’ultimo stile fotografico, voglio rompere i paradigmi classici della fotografia e trasformare l’originale senso di realismo della tecnica fotografica in surrealismo, rappresentazione pittorica e unica della realtà.

La scelta di ricorrere all’utilizzo del colore o del bianco e nero da cosa è dettata?

Dematerializzando la forma del reale, il colore mi aiuta a dare sentimento e drammaticità alle mie immagini.

Cosa l’ha portata a realizzare quelle che lei definisce “immagini sbagliate”?

La fotografia moderna è stata commercializzata all’estremo anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali. Oggi l’utilizzo di social media come Instagram, hanno reso mediocri utilizzatori di strumenti fotografici dei fotografi quasi professionisti. Creare un immagine mossa, e quindi “sbagliata”, riproducendola in pochissime copie su materiali sofisticati e di altissimo livello, mi permette una fuga da questo mercato tristemente massificato verso invece quello che è il mondo dell’arte.

Che messaggio vorrebbe trasmettere allo spettatore con i suoi scatti?

Unicità, senso estetico, fuga onirica, il “bello Classico”. L’attimo fuggente.

Ha in mente nuovi progetti fotografici per il futuro?

Il prossimo progetto sarà finalizzato a rappresentare la finitezza, la fragilità e al contempo l’Eternità dell’Esistenza Umana, nonostante la banalità apparente del nostro tempo.

Potrebbe esplicitare l’affermazione “Cerco l’isola che non c’è” in relazione alla sua ricerca artistica? Qual è il messaggio sotteso a tale obiettivo?

Nasciamo, siamo bambini, poi adolescenti, ed infine adulti. In quest’ultima fase, per semplificare la gestione della complessità e della realtà che ci circonda, spesso creiamo semplificazioni e scorciatoie cognitive che ci fanno perdere completamente di vista sia la realtà e la Verità in quanto tale, che la nostra dimensione esistenziale. Cercare “l’Isola che non c’è” per me significa cercare quella dimensione esistenziale e Reale che in realtà c’è, che ci connette al nostro intimo, alla Verità di noi stessi, e quindi alla massima Felicità.

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